L’emblema del leopardo, restaurato nel 2013, occupava in una domus faentina la parte centrale d’un pavimento che è stato tagliato e immagazzinato. Per ricostruirlo abbiamo fotografato i lacerti residui, quindi li abbiamo disposti seguendo il rigoroso ordito di moduli circolari raccordati tra loro secondo uno schema che genera ottagoni con quattro lati concavi.
È apparso evidente che l’emblema non poteva essere contenuto in un solo modulo, poiché la cornice si sarebbe sovrapposta sulla figura del leopardo. Dunque l’emblema aveva un’altezza di due moduli, e ciò che ne resta è solo un angolo, purtroppo.
Nel resto dell’emblema sicuramente vi erano altre figure, oltre il leopardo e la gazzella di cui restano le zampe. Abbiamo provato a inserire nella bozza di ricostruzione altre due figure simili, per suggerire come potesse apparire il pavimento integro. Ma abbiamo rinunciato nella ricostruzione definitiva: le ipotesi possibili erano troppe.
Poiché i lacerti consentono di stabilire la larghezza del pavimento, si trattava dunque di ipotizzare quale potesse essere la sua lunghezza. Abbiamo scelto uno schema simmetrico, di 5 moduli per otto, suggerito anche dai triangoli che incorniciano gli ottagoni: sul lato retto se ne contano 5, sul curvo 8. Un ritmo ben noto al mondo antico, con proporzioni pari a 1: 1,6, prossimo alla sezione aurea e che ricorre nella serie di Fibonacci.
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