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Strati d’un pavimento musivo secondo Vitruvio

La tecnica del mosaico consiste nell’accostamento su una superficie di piccole sezioni di materia, dette tessere, di forma grosso modo cubica e di dimensioni varie. La superficie su cui andava realizzato il mosaico pavimentale veniva preparata attraverso alcuni procedimenti ben distinti: per prima cosa si dava una leggera pendenza al suolo per permettere lo scolo delle acque e si ricopriva con un conglomerato di sassi grandi come un pugno, ottenendo così il primo strato (vedi 1 nell’illustrazione). A sua volta questo veniva ricoperto con materiali più fini, utilizzando tre parti di ghiaia e una di calce (2); il terzo strato, detto nucleus, era costituito da tre parti di cocciopesto e una di calce e aveva uno spessore di circa 12 cm (3).

Alla fine il pavimento veniva livellato e ricoperto con sabbia, calce e polvere di marmo per rendere la superficie più compatta. A questo punto si stendeva il cemento (4) e i mosaicisti vi disponevano sopra le tessere (5), seguendo il disegno preparatorio approvato dal committente.

I materiali più utilizzati nell’antichità per la realizzazione dei mosaici sono i marmi, ma venivano utilizzati anche sassi, frammenti di conchiglie e madreperla. Diverse persone collaboravano alla preparazione e alla stesura di un mosaico. I Romani distinguevano gli operai addetti alla preparazione dei materiali dagli artisti veri e propri: il pictor imaginarius (pittore creativo) era colui che forniva il disegno o cartone, il pictor parietarius (pittore murale) colui che lo adattava alla parete e il musivarius (mosaicista) o il tessellarius gli esecutori effettivi del mosaico.

Le tessere venivano tagliate con una martellina e un tagliolo (a sinistra), due strumenti semplici ancor oggi in uso. La martellina in ferro ha forma ad arco e predisposta per il taglio sulle estremità dell’arco. Il tagliolo è un cuneo in ferro forgiato, infisso in un ceppo di legno atto a garantire solidità e stabilità durante le fasi di lavorazione.

 

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